Provetta

Dalla colonna di distillazione si preleva periodicamente un campione di Xenon per valutarne la purezza.

Dopo aver purificato lo Xenon nella colonna di distillazione, è necessario verificare che si siano effettivamente raggiunti i livelli di purezza desiderati. Il campione prelevato è inviato a un laboratorio esterno per le analisi. In particolare non devono essere presenti tracce di Krypton e Radon che sono i principali contaminanti radioattivi dello Xenon e rischiano di invalidare le misure effettuate negli esperimenti.

Il problema del kripton

Il prelievo periodico di campioni di xenon dalla colonna di distillazione è realmente condotto nell’esperimento XENON1T, in corso (ottobre 2018) presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso per studiare la materia oscura. Rispetto a quanto mostrato nel videogioco però, la provetta contenente circa un centimetro cubo di xenon non è analizzata in loco, ma è inviata a un laboratorio di analisi specializzato dell’Università di Heidelberg, in Germania. Il processo di distillazione non elimina completamente il kripton, ma ne riduce la quantità di circa 500 mila volte: da qualche ppm (parte per milione, cioè un atomo di kripton per ogni milione di atomi di xenon) a meno di una ppt (parte per trilione, cioè un atomo di kripton per ogni mille miliardi di atomi di xenon). È fondamentale mantenere il kripton al di sotto di questa concentrazione affinché non interferisca con le eventuali interazioni di particelle di materia oscura con lo xenon (vedi Materia Oscura tra le schede Materia oscura). Queste piccolissime quantità di kripton possono essere individuate grazie all’impiego di due tecniche analitiche: la cromatografia a gas (o gascromatografia), che permette di separare il kripton dallo xenon, e la spettroscopia di massa, con la quale il kripton presente nel campione viene quantificato.

La gascromatografia

Il gascromatografo è uno strumento che sfrutta la diversa affinità dei componenti di una miscela per un gas di trasporto, che è inerte ed è chiamato “fase mobile”, e per una sostanza liquida o solida aderente a un supporto, detta “fase stazionaria”. La miscela in fase gassosa viene pompata con la fase mobile all’interno di una lunga e stretta colonna le cui pareti sono rivestite con un sottile strato di fase stazionaria. Durante il percorso all’interno della colonna le diverse componenti della miscela si legano in misura maggiore o minore alla fase stazionaria, in base alla loro affinità chimica, una proprietà intrinseca delle componenti che indica la tendenza che hanno a legarsi con altre sostanze chimiche. Le sostanze più affini alla fase stazionaria, poiché interagiscono con essa sono “rallentate”, avanzano più lentamente nella colonna, mentre le meno affini sono trasportate più rapidamente. Alla fine della colonna è presente un rivelatore che genera un segnale all’arrivo di ognuna delle componenti della miscela. Il risultato finale è un cromatogramma, cioè un grafico in cui sono riportati dei picchi di segnale in funzione del tempo di arrivo (Fig. 1). Dalla posizione dei picchi nel tempo si hanno informazioni sul tipo di sostanze, mentre l’altezza fornisce un’indicazione della loro abbondanza nella miscela. Il cromatografo usato ai laboratori di Heidelberg prevede l’utilizzo di più colonne. La prima di queste serve a purificare il gas di trasporto, in questo caso l’elio, dal kripton, che deve raggiungere livelli trascurabili per non contaminare lo xenon. A questo punto, il campione di xenon è iniettato nello strumento e, spinto dall’elio, entra in una seconda colonna lunga qualche metro e del diametro di 6 millimetri. La colonna è rivestita di una fase stazionaria a stato solido, detta “adsorbente”, per la quale lo xenon ha una maggiore affinità rispetto al kripton, in condizioni opportune di pressione e temperatura (circa -80 °C). Quindi il kripton avanza più velocemente ed entra in una terza colonna adsorbente dove rimane intrappolato, mentre il gas di trasporto fluisce fuori dalla colonna. Si libera il kripton dal materiale adsorbente riscaldando la colonna e lo si può quindi trasferire allo spettrometro di massa per la quantificazione.

Fig.1 Esempio di cromatogramma prodotto dal processo di separazione di kripton e xenon. Sull'asse delle x è riportato il tempo in minuti. Altezza e ampiezza dei picchi forniscono un’indicazione della quantità della sostanza. Questo cromatogramma è prodotto da un rivelatore a conducibilità termica. Un rivelatore di questo tipo è costituito da due filamenti riscaldati elettricamente e mantenuti a temperatura costante; in uno dei due filamenti scorre il gas di trasporto puro, mentre nell'altro scorre il gas in uscita dalla colonna. Quest’ultimo contiene xenon e kripton, il cui passaggio asporta una quantità di calore dal filamento, risultando in una variazione di temperatura tra questo e l’altro filamento. La variazione di temperatura è tradotta in variazione di resistenza elettrica che, amplificata, rappresenta il segnale in uscita del rivelatore. (Crediti: Eur. Phys. J. C (2014) 74:2746)

Lo spettrometro di massa

Estratto il kripton che era presente nel campione di xenon, si procede all’analisi con lo spettrometro di massa, uno strumento che serve a identificare e quantificare sostanze. Il suo funzionamento si basa sull’applicazione di un campo magnetico a un fascio accelerato di ioni, che si separano in funzione del loro rapporto tra massa e carica. Nella prima parte dello spettrometro avviene la ionizzazione del campione, il kripton, grazie a un fascio di elettroni. Gli ioni vengono dunque focalizzati e accelerati da un campo elettrico dentro un tubo a vuoto, nel quale è inserito un magnete. Il campo magnetico devia il fascio di ioni, separandoli in base al loro rapporto tra massa e carica. Infatti, se a particelle cariche in movimento si applica un campo magnetico perpendicolare alla direzione del loro moto, queste assumono una traiettoria circolare, con un raggio di circonferenza la cui lunghezza dipende proprio dal rapporto tra massa e carica della particella: in generale, gli ioni meno pesanti (o più leggeri) subiranno una deviazione maggiore rispetto agli ioni più pesanti. Modificando l’intensità del campo magnetico si indirizzano i fasci di ioni a un rivelatore, che emette un segnale proporzionale al numero di ioni di ciascun tipo. Il risultato è visualizzato in un grafico, lo spettro di massa, che riporta l’abbondanza relativa degli ioni e il loro rapporto massa/carica. Si può così risalire al tipo e alla quantità di sostanze presenti nel campione.

Fig. 2 Schema di uno spettrometro di massa. La sorgente di ioni (ion source) è il campione di gas da analizzare, immesso nell’apparecchio (Gas inflow) e bombardato da un fascio di elettroni. Questi sono prodotti da un filamento ad alta temperatura (Ionizing filament) e accelerati verso un elettrodo positivo (Electron trap). Gli ioni prodotti, che hanno carica positiva, sono spinti da una piastra anch’essa positiva (Ion repeller) verso un acceleratore (Ion accelerator), che si basa sulla repulsione elettrica e li focalizza in un fascio (Beam focusing) dentro un tubo a vuoto. Il fascio di ioni positivi viene deflesso da un magnete (Magnet). A seconda del rapporto tra massa e carica degli ioni, questi subiscono una deflessione maggiore o minore, e vengono raccolti da un rivelatore che ne amplifica il segnale (Amplifiers) e invia i dati a un computer. (Crediti: Wikimedia Commons)

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