Riproduce le reazioni nucleari che avvengono nelle stelle facendo collidere fasci di particelle cariche su diversi tipi di bersagli.
Quasi tutti gli elementi che si trovano nell’Universo hanno avuto origine da reazioni termonucleari che avvengono nelle stelle. Queste reazioni producono energia e formano gli elementi, dai più leggeri ai più pesanti. Per comprendere questi meccanismi si usano acceleratori di particelle che riproducono le reazioni di fusione in laboratorio.
L’astrofisica nucleare ha l’obiettivo di spiegare l’origine degli elementi chimici e di comprendere i meccanismi che regolano la produzione di energia all’interno delle stelle. A prima vista può sembrare che questi due aspetti non abbiano molto in comune, ma in realtà sono strettamente legati. Sono infatti le reazioni di fusione nucleare che avvengono nelle stelle a essere responsabili sia della loro produzione di energia, che ne regola anche l’evoluzione, sia della formazione di elementi chimici più pesanti a partire da quelli più leggeri. Se non fosse per le stelle, la tavola periodica sarebbe decisamente striminzita: avremmo solo idrogeno, elio, litio e i loro isotopi, ossia gli stessi elementi con un uguale numero di protoni, ma diverso di neutroni. Questi tre elementi – che sono i più leggeri, contenenti rispettivamente uno, due e tre protoni all’interno del loro nucleo – sono quelli formatisi durante i primi tre minuti di vita dell’Universo, in un processo chiamato Big Bang nucleosintesi. Per tutti gli altri, compresa la grande maggioranza di quelli che compongono il nostro pianeta e noi stessi, si è dovuto attendere che si “accendessero” le stelle e che innescasse un ciclo di evoluzione che è ancora in corso.
Più in dettaglio, le prime stelle, distanti da noi miliardi di anni luce, hanno incominciato a fondere nei loro nuclei incandescenti elementi leggeri, producendone via via di più pesanti. Quando questo combustibile nucleare si è esaurito, le stelle sono collassate spargendo gli elementi prodotti nel cosmo attraverso spettacolari esplosioni (supernove) o espandendosi come giganti rosse. Questo materiale si è poi raccolto in nubi di gas nello spazio interstellare, che a loro volta collassando lentamente hanno dato vita a una nuova generazione di stelle, ricominciando il ciclo. In questo modo si sono formati e si formano ancora quasi tutti gli elementi che vediamo in natura. L’astrofisica nucleare studia quindi le reazioni termonucleari che avvengono nelle stelle. A differenza di quanto avviene nei reattori nucleari a fissione – dove il rilascio di energia si deve alla scissione di un nucleo atomico – queste sono reazioni in cui due o più nuclei riescono a fondersi, a causa della grandissima energia termica che permette di superare la loro repulsione elettromagnetica. Il processo è accompagnato dal rilascio di una gran quantità di energia. Una stella, in effetti, è un gigantesco reattore a fusione nucleare, una esplosione atomica continua. Ad esempio il Sole (che è una stella piccola) fonde circa 600 milioni di tonnellate di idrogeno al secondo.
Di questa massa, circa il 99,3% è trasformato in elio, mentre il rimanente 0,7% è convertito in energia, prevalentemente sotto forma di radiazione elettromagnetica. È una piccola percentuale, ma l’energia sprigionata in un secondo è pari a circa 4-5 milioni di volte la produzione mondiale annua di energia elettrica. La reazione descritta – che genera anche una gran quantità di neutrini – è chiamata catena protone-protone, ed è di gran lunga la reazione dominante nel nucleo del Sole. Un altro ciclo che invece avviene in misura maggiore in stelle più massicce, si chiama ciclo carbonio-azoto-ossigeno, perché utilizza questi elementi come catalizzatori per fondere protoni e produrre elio. Altre reazioni di fusione di elementi più pesanti avvengono all’interno di stelle massicce (cioè di massa superiore a otto volte quella del Sole), producendo tutti gli elementi fino al ferro, mentre quelli ancora più pesanti sono prodotti da cicli di reazioni che avvengono nelle supernove. Comprendere appieno queste reazioni significa comprendere i cicli di evoluzione delle stelle e l’origine esatta degli elementi chimici presenti nell’Universo. Per farlo, è fondamentale stimare quali sono i tassi di reazione, ossia le probabilità con cui le varie reazioni termonucleari possono occorrere. Ciò fa sì che a livello pratico l’obiettivo dell’astrofisica nucleare sia quello di riprodurre le reazioni che avvengono nelle stelle in ambiente di laboratorio.
Fig.1 Grafico dell'abbondanza degli elementi nel Sistema Solare. Sulle ascisse, il numero atomico Z indica il numero di protoni contenuti nel nucleo dell'elemento; Sulle ordinate le quantità relative degli elementi espresse in potenze di 10. Ciò significa ad esempio che l'ossigeno (O - circa 10 alla settima potenza) è diecimila volte (10 alla quarta potenza) più abbondante del fluoro (F - circa 10 alla terza potenza). Notiamo che man mano che aumenta la massa l'abbondanza degli elementi nel nostro Sistema Solare diminuisce. (Crediti: Wikimedia Commons).
Il problema è che queste reazioni, quando sono riprodotte in laboratorio, hanno bassissime probabilità di avvenire e si osservano quindi molto raramente. Il fatto che siano poche fa sì che sia più difficile identificarle, se allo stesso tempo ci sono anche molte altre reazioni che avvengono. Ciò si traduce nella necessità di attenuare significativamente il “rumore di fondo” che disturba le misure, dato dalle radiazioni ambientali e soprattutto dai raggi cosmici. Questo è il motivo per cui l’esperimento LUNA è stato istallato ai LNGS, sotto i 1400 m del massiccio sovrastante che formano uno schermo naturale di roccia. LUNA è stato il primo – e fino al 2017 l’unico – esperimento al mondo di astrofisica nucleare installato in un laboratorio sotterraneo. LUNA impiega un accelleratore di particelle, una macchina che utilizza campi elettromagnetici per spingere particelle cariche a velocità prossime a quelle della luce, mantenendole confinate all’interno di un fascio collimato. Nel caso di LUNA, l’acceleratore è di tipo elettrostatico, cioè accelera le particelle tramite l’applicazione di un campo elettrico che non varia nel tempo. Il sistema di alta tensione che genera i campi elettrici è posto a sua volta è contenuto all’interno di una tanica cilindrica di un metro di diametro, riempita di un gas isolante, che serve a non far disperdere il campo elettrico che accelera le particelle. Le particelle cariche che compongono il fascio di LUNA (che ha un diametro di pochi millimetri) sono protoni e nuclei di elio. Queste sono estratte da un gas di idrogeno attraverso un processo di ionizzazione, l’applicazione di un forte campo elettrico che separa gli elettroni dai nuclei.
Il fascio viaggia attraverso una linea di fascio lunga circa tre metri dove, per evitare che si degradi prima di arrivare al bersaglio, è pompata in vuoto. Il fascio è direzionato da un magnete verso uno dei due bersagli installati, dove collidendo con gli atomi che lo compongono innesca le reazioni di fusione che LUNA ha l’obiettivo di indagare. I bersagli sono di tipo solido e di tipo gassoso. Le reazioni nucleari che si generano a seguito delle collisioni tra il fascio e il bersaglio producono fotoni o particelle cariche detti prodotti di reazione. Si utilizzano diversi tipi di rivelatori, per le particelle cariche si utilizzano i rivelatori al silicio. Un semiconduttore, ovvero un materiale in grado di passare da isolante a conduttore di elettricità a seguito di un piccolo deposito di energia. Le particelle cariche prodotte, attraversandolo, vi interagiscono depositandovi energia, che genera nel materiale una piccola corrente elettrica che può essere misurata. Nel caso dei fotoni invece si utilizzano sempre rivelatori a semicondotture ma composti da germanio, altamente puro, oppure cristalli scintillatori, dei cristalli in cui si produce una scintilla di luce rivelabile quando attraversati da una radiazione in grado di eccitare o ionizzare gli elettroni degli atomi che li compongono. In tutti i casi, i rivelatori sono opportunamente schermati con piombo o rame, per abbattere ulteriormente il fondo di radiazioni già ampiamente attenuato dalla roccia sovrastante i laboratori.
Fig.2 Schema dell'esperimento LUNA. Da sinistra verso destra, il fascio viene generato al centro del cilindro (in marrone) di un metro di diametro e 2,8 di lunghezza e viene indirizzato a uno dei due bersagli tramite un magnete.
Fig.3 L'apparato dell'esperimento LUNA. In primo piano i due bersagli (quello gassoso è a destra, ricoperto di piombo), sul fondo dell'immagine a destra si può vedere la linea fascio.
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