Provengono dal nucleo del Sole, sono tra le particelle più sfuggenti del cosmo e servono rivelatori molto grandi e radio-puri per captarle.
Un tipico rivelatore di neutrini solari è formato da un volume molto grande di un liquido in cui il passaggio di neutrini può provocare dei debolissimi lampi di luce. Queste deboli “scintille” sono captate da strumenti che le trasformano in segnali elettrici proporzionali alla loro energia. Misurandoli si può sapere di più su ciò che avviene nel Sole.
I neutrini sono particelle elementari neutre (ossia prive di carica elettrica) e sono interessanti per lo studio di fenomeni che vanno dall’astrofisica, alla cosmologia, alla fisica delle particelle. A parte i fotoni, sono le particelle più leggere conosciute, con una massa di almeno un milione di volte inferiore a quella dell’elettrone e sono, sempre dopo i fotoni, le particelle più abbondanti nell’Universo (tra quelle attualmente note). Appartengono a tre famiglie – o sapori (flavours in inglese) – che prendono il nome dalle particelle cariche corrispondenti: neutrini elettronici, neutrini muonici e neutrini tauonici, che hanno come controparte rispettivamente elettroni, muoni e tau. I neutrini non interagiscono attraverso la forza elettromagnetica o quella nucleare forte, ma solo tramite le altre due forze fondamentali: gravitazionale e nucleare debole. Quella gravitazionale tuttavia è trascurabile, poiché la massa dei neutrini è piccolissima. La forza nucleare debole agisce a brevissima distanza, perciò è raro che i neutrini interagiscano con la materia ed è per questo che sono indicati come le particelle più sfuggenti dell’Universo.
I neutrini sono sfuggenti ma numerosissimi, basti pensare che il nostro corpo è attraversato da un flusso di centinaia di miliardi di queste particelle ogni secondo! È un “bombardamento” continuo e del tutto innocuo, proprio per la loro elusività. L’Universo abbonda di sorgenti in cui i neutrini sono prodotti in gran quantità, ma quella a noi più vicina è il Sole ed è da lì che proviene la maggior parte dei neutrini che giungono sulla Terra. All’interno del Sole e delle altre stelle avvengono delle reazioni di fusione nucleare tra gli atomi di idrogeno, che le tengono “accese”. Qui l’enorme energia termica presente fa sì che i protoni possano vincere la loro repulsione elettrica, unendosi in nuclei di elio ed emettendo nel processo elettroni, fotoni e proprio neutrini. Questi ultimi, a causa della loro scarsa propensione a interagire con qualsiasi cosa, si allontanano velocissimi e indisturbati dalla stella. Anche quando una stella esplode, si formano moltissimi neutrini, in quel caso possono anche raggiungere la Terra, nonostante le enormi distanze. È accaduto ad esempio il 27 febbraio del 1987, quando il nostro pianeta è stato investito da un intenso flusso di neutrini prodotto da una supernova – l’esplosione di una stella massiccia che ha terminato il suo combustibile nucleare – distante più di 160 mila anni luce. Si stima che ogni essere umano sia stato attraversato da circa 10.000 miliardi di neutrini prodotti da quell’esplosione. Torniamo, però, al Sole, dal quale i neutrini prodotti si allontanano a velocità prossima a quella della luce: dopo soli 8 minuti di viaggio raggiungono la Terra, trasportando preziose informazioni circa il nucleo della nostra stella.
Quali sono quindi le caratteristiche fondamentali che deve avere un apparato efficace nel rivelare i neutrini solari? Vista la sezione d’urto (questo il termine usato dai fisici per indicare la probabilità di interagire con la materia) incredibilmente bassa dei neutrini, bisogna usare dei rivelatori dotati di un “bersaglio” con massa e dimensioni molto grandi, per poterne rivelare il passaggio e studiarne le proprietà. In questo modo si fornisce ai neutrini l’opportunità di incontrare sul loro cammino più materiale sensibile possibile con cui interagire, sfruttando al meglio l’enorme numero di neutrini incidenti sulla Terra ogni secondo (circa 60 miliardi per cm2) e cercando di compensare la loro minuscola sezione d’urto. Un rivelatore di neutrini, inoltre deve essere il più schermato possibile dalla radiazione naturale. Ci sono, infatti, moltissimi eventi di natura diversa che possono generare dei “falsi positivi”, segnali ingannevoli dovuti al passaggio di altre particelle molto più propense a interagire dei neutrini, che devono essere il più possibile soppressi. La collocazione dei LNGS, posti sotto a uno schermo naturale di 1400 m di roccia, è in questo senso strategica, perché permette di attenuare di ben 6 ordini di grandezza una di queste fonti primarie di disturbo: i muoni dei raggi cosmici ( vedi Veto di muoni tra le schede Materia Oscura). È questo il motivo principale per cui ai LNGS sono stati condotti molti esperimenti pionieristici sulla fisica del neutrino in generale e sullo studio dei neutrini solari. Ad esempio, all’importante scoperta del fenomeno detto di oscillazione – attraverso il quale i neutrini che si propagano nello spazio possono cambiare il loro sapore nel tempo – hanno contribuito tra gli altri nel mondo 6 esperimenti ospitati dai LNGS: MACRO, Gallex, GNO, OPERA, Icarus e Borexino. Di questi solo l’ultimo è ancora attivo.
Borexino ha lo scopo di misurare i neutrini solari di bassa energia, i più difficili da rivelare. Il cuore di Borexino è costituito da un’enorme tanica sferica riempita da ben 900 tonnellate di un idrocarburo liquido, che scherma dalla radiazione ambientale una sfera di nylon contenente altre 300 tonnellate di uno scintillatore liquido, un materiale in grado di emettere, appunto, una scintilla di luce quando un neutrino colpisce uno dei circa 1030 elettroni che lo compongono. Questo grande cuore scintillante è posto all’interno di una tanica contenente 2400 ton di acqua ultrapura, che funge da ulteriore schermo attivo (tramite luce Cherenkov) per i raggi cosmici ed in modo passivo anche per i neutroni dovuti alla radioattività ambientale (vedi Veto di muoni tra le schdede Materia Oscura). In effetti, a essere davvero impressionanti non sono tanto le dimensioni dell’esperimento, quanto il livello di soppressione della sorgente di segnali spuri, il cosiddetto fondo radiativo. Questo è composto dai già citati raggi cosmici, che sono attenuati dalla roccia e poi “smascherati” dal veto di muoni, ma anche dalla radioattività naturale ambientale e da quella dei materiali stessi di cui il rivelatore è composto. Il fondo radiativo è del tutto inavvertibile da noi, ma spaventosamente grande rispetto alle sensibilità richieste da esperimenti come Borexino, che per funzionare deve essere oltre 1 miliardo di volte meno radioattivo di qualsiasi cosa sulla Terra. Per fare un esempio, in 1 l di acqua minerale avvengono all’incirca 10 decadimenti da contaminanti radioattivi al secondo, mentre è richiesto che in 1 Kg dello scintillatore di Borexino avvengano 10 decadimenti in più di 300 anni. Per questo, sia le 2400 ton d’acqua, sia le 1300 ton di scintillatore subiscono un sofisticatissimo processo di purificazione che, unito all’effetto dello schermo roccioso sovrastante i LNGS, porta a un risultato da record: attualmente il cuore di Borexino è il luogo meno radioattivo dell’Universo!
Schema dell'esperimento Borexino (Crediti immagine: Laboratori Nazionali del Gran Sasso (INFN) – Paolo Lombardi).
Ciò detto, cosa accade in pratica all’interno del rivelatore? Succede che raramente (qualche decina di volte al giorno) uno dei tanti neutrini che attraversano il rivelatore colpisce un elettrone delle molecole dello scintillatore, facendo sì che si generi la scintilla. Si tratta di un debole lampo di luce, così breve e così flebile, che può essere colto solo da strumenti sensibilissimi chiamati fotomoltiplicatore. I 2200 fotomoltiplicatori presenti sulla superficie interna della sfera di Borexino captano il minimo bagliore, anche un singolo fotone, e lo amplificano trasformandolo in segnale elettrico.
Dalla forma di questo segnale si può capire quale è l’energia e la posizione del neutrino che l’ha generato. Si può in seguito ricostruire lo spettro, , un grafico in cui, per determinati intervalli di tempo, è riportato il numero di neutrini osservati in funzione della loro energia. Quest’ultimo è il risultato di una raffinata elaborazione dei dati raccolti, in cui sono sottratte una a una le componenti di rumore che generano segnali indesiderati: i muoni prodotti dai raggi cosmici; le radiazioni emesse dalle pareti stesse del rivelatore; i segnali prodotti spontaneamente dallo scintillatore. Al termine dell’analisi dati, il confronto tra gli spettri ottenuti e quanto previsto dall’attuale modello che descrive il Sole, il Modello Solare Standard, permette di verificare – e all’occorrenza modificare – le nostre conoscenze sulle reazioni nucleari che avvengono all’interno della nostra stella, così come sulla struttura e la composizione del suo nucleo.
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