Sistema di acquisizione dati

Per attivare il software che elabora i dati raccolti serve una password che è sempre in vista, anche se nascosta tra altre informazioni.

Un sistema di acquisizione dati elabora le informazioni raccolte da un sistema di strumenti elettronici sincronizzati per ricostruire ciò che avviene nel rivelatore. I sensori del rivelatore inviano i segnali digitali a un database. Un software ispeziona costantemente il database applicando delle procedure per ricostruire dai dati il tipo di interazioni avvenute e la loro posizione all’interno del rivelatore.

Un componente fondamentale dell’esperimento

Gli apparati sperimentali utilizzati per la moderna ricerca in fisica comprendono sempre un sistema di acquisizione dati. Si tratta di un insieme di strumenti elettronici, gestito da software, che registra segnali (ad esempio quelli generati in un rivelatore utilizzato per intercettare particelle di materia oscura) e a volte ne effettua anche una prima elaborazione. La struttura di un sistema di acquisizione dati (DAQ – Data AcQuisition – system, in inglese) può essere molto complessa e la sua progettazione richiede competenze ad ampio spettro, oltre a quelle fisiche, ad esempio in elettronica, informatica e statistica.

Il rivelatore di XENON1T

Il sistema di acquisizione dati è costruito in base alle caratteristiche del rivelatore, che nel caso dell’esperimento sulla materia oscura in Gran Sasso videogame è ispirato a quello dell’esperimento XENON1T, uno dei più imponenti esperimenti in corso ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso dell’INFN (a ottobre 2018; vedi Materia Oscura tra le schede Materia Oscura). In sintesi, il rivelatore di XENON1T è un grande cilindro riempito di xenon che è usato come scintillatore, cioè emette deboli scintille di luce in seguito alle interazioni provocate dal passaggio di particelle. Le scintille sono captate da fotomoltiplicatori disposti su due griglie piane, in cima e sul fondo della tanica cilindrica, che quando “illuminati” generano un segnale elettrico proporzionale all’intensità della scintilla. Ogni interazione provoca due segnali (S1 e S2), che hanno ampiezze diverse e sono prodotti uno dopo l’altro: mettendo insieme questi dati con la posizione dei fotomoltiplicatori “illuminati” si ricostruisce il tipo di interazione che è avvenuta e la sua posizione all’interno del rivelatore. La tanica cilindrica contenente lo xenon (detta Camera a Proiezione Temporale, CPT) è posta al centro di un’altra tanica ancora più grande riempita d’acqua. Questa costituisce il veto di muoni: qui vengono captate le scintille dovute a particelle generate dai raggi cosmici (i muoni, appunto, vedi veto di muoni tra le schede “Materia oscura”), che sono segnali indesiderati da scartare.

Il DAQ system di Xenon1T

La logica del DAQ system è la seguente: acquisizione dei segnali di tutti i fotomoltiplicatori, immagazzinamento di questi dati all’interno di un database, raggruppamento e selezione degli eventi potenzialmente interessanti (le interazioni cercate). Ognuno dei 332 fotomoltiplicatori (248 nella CPT e 84 nel veto di muoni) è collegato a un convertitore analogico digitale, cioè una scheda elettronica che trasforma l’impulso elettrico prodotto dal fotomoltiplicatore quando viene illuminato in un segnale digitale. Questi segnali viaggiano in “canali” separati e indipendenti, tutti però sincronizzati (vedi Calibrazione fotomoltiplicatori tra le schede Neutrini Solari) temporalmente tra loro. Ogni volta che un fotomoltiplicatore produce un segnale, le sue caratteristiche sono registrate (insieme al tempo esatto in cui è avvenuto) in un database, che viene continuamente ispezionato da un software incaricato di isolare e ricostruire da questi dati i segnali rilevanti.

Il software opera la ricostruzione attraverso cinque passaggi successivi. In primo luogo controlla che il segnale non sia dovuto al “rumore” intrinseco del canale, dovuto alla strumentazione stessa, controllando che l’intensità dell’impulso sia più elevata di una certa soglia, per un certo intervallo di tempo (siamo nell’ordine delle centinaia di nanosecondi). Successivamente il software confronta i segnali registrati da altri canali a tempi abbastanza vicini rispetto al segnale in questione, raggruppandoli secondo una procedura che tiene conto della loro distribuzione spaziale e dei loro diversi tempi di comparsa (ricordiamo che i segnali sono prodotti dall’arrivo di fotoni su due griglie piane di fotomoltiplicatori, alla base e alla sommità della CPT). Poi il software calcola varie proprietà di ogni gruppo di segnali, come l’area e l’ampiezza, e le usa per ricostruire la posizione sul piano orizzontale dell’interazione che ha provocato la scintilla. Quindi i gruppi sono classificati come S1 e S2 (primo segnale e secondo segnale prodotto da una singola interazione) considerando nuovamente la forma dei segnali, ma stavolta guardando il tempo in cui il segnale raggiunge il suo massimo di intensità. Infine, il software calcola ogni possibile accoppiamento tra i gruppi di S1 e S2, ricostruendo, per ogni coppia, l’altezza a cui è avvenuta l’interazione nella CPT, usando le informazioni precedentemente ricavate sulle posizioni orizzontali e integrandole con il ritardo temporale tra S1 e S2.

Tutto questo processo è soggetto al controllo del veto di muoni, i cui segnali arrivano allo stesso DAQ system che gestisce i segnali provenienti dalla CPT. I dati del veto di muoni tuttavia sono inviati al database (che viene usato in fase di elaborazione dati per rigettare segnali della CPT) solo quando si registra una coincidenza di un certo numero di segnali provenienti dai suoi fotomoltiplicatori, in un dato intervallo di tempo. Da questa elaborazione si ottiene un insieme di file con le informazioni dei segnali rilevanti ricostruiti. Una volta acquisito un volume sufficiente di dati, si procede con l’analisi statistica, per stabilire se vi siano state interazioni con particelle di materia oscura. Questa è la fase in cui si elaborano i dati ricavati dal DAQ system prendendo in considerazione in maniera quantitativa tutte le possibili fonti di incertezza connesse alle misure effettuate. A questo scopo si sfruttano le conoscenze acquisite in fase di calibrazione dell’apparato sperimentale: ad esempio quante e quali interazioni ci si aspetta di trovare in un determinato lasso di tempo a causa di “sorgenti di fondo” che creano segnali nel rivelatore, come la presenza di tracce di contaminanti radioattivi nello xenon.

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