Acceleratore

Macchina usata negli esperimenti di astrofisica nucleare per accelerare particelle cariche.

Un acceleratore di particelle impiega un campo elettrico per far raggiungere a particelle cariche velocità, prossime a quella della luce. Le particelle viaggiano in un fascio all’interno di un tubo in cui è stato fatto il vuoto. Il fascio deve raggiungere un bersaglio e per direzionarlo si usano dei magneti. I prodotti della collisione delle particelle con il bersaglio vengono analizzati con opportuni rivelatori.

A cosa servono gli acceleratori di particelle

Nati negli anni ‘30 del Novecento con lo scopo di indagare la struttura atomica, gli acceleratori sono impiegati nella ricerca di base e applicata. In tutto il mondo ce ne sono più di 30.000. I più potenti sono usati per studiare le proprietà di nuclei e particelle subatomiche e per cercare di comprendere le origini dell’Universo. Molti acceleratori trovano applicazione in campo medico, ad esempio in radioterapia per il trattamento dei tumori, oppure nell’industria e nel campo della produzione di materiali. Accelerare delle particelle significa conferire loro energia cinetica, ma non solo. Come ci ha insegnato Einstein con la sua famosa equazione E=〖mc〗^2, energia e massa sono due facce della stessa medaglia. Perciò facendo collidere, cioè scontrare, particelle molto energetiche se ne possono generare altre, di masse superiori o comunque diverse da quelle di partenza. Nella ricerca in ambito fisico si studiano le proprietà (ad es. massa, carica, ecc.) dei prodotti ottenuti dalle collisioni tra particelle accelerate e particelle “bersaglio”. Si cerca di capire che tipo di reazioni siano avvenute in queste collisioni e quale sia il ruolo delle forze fondamentali.

Fig.1 Grafico dell'abbondanza degli elementi nel Sistema Solare. Sulle ascisse, il numero atomico Z indica il numero di protoni contenuti nel nucleo dell'elemento; Sulle ordinate le quantità relative degli elementi espresse in potenze di 10. Ciò significa ad esempio che l'ossigeno (O - circa 10 alla settima potenza) è diecimila volte (10 alla quarta potenza) più abbondante del fluoro (F - circa 10 alla terza potenza). Notiamo che man mano che aumenta la massa l'abbondanza degli elementi nel nostro Sistema Solare diminuisce. (Crediti: Wikimedia Commons).

Come funzionano

Le particelle possono essere accelerate solo se sono cariche, perché per farlo si utilizzano dei campi elettrici. Si possono accelerare, ad esempio, i protoni, che hanno una carica elettrica positiva, o gli elettroni, che sono carichi negativamente. Si parla di acceleratori elettrostatici o elettrodinamici, in base al tipo di campo elettrico applicato. L’acceleratore usato nell’esperimento LUNA presso i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, è un esempio del primo tipo: il fascio di particelle è accelerato attraversando una sola volta una porzione di spazio in cui è mantenuta una grande differenza di potenziale elettrico che non varia nel tempo (si ha quindi un campo elettrico statico). Gli acceleratori elettrostatici sono più semplici ed economiche da costruire. Negli acceleratori elettrodinamici il fascio passa più volte attraverso dei campi acceleranti. Questo effetto si ottiene ponendo intorno alla linea di fascio degli elettrodi cilindrici di lunghezza variabile e applicando ad essi una tensione elettrica alternata (Fig.1). La tensione alternata fa sì che le particelle trovino sempre davanti a sé un campo di segno invertito rispetto alla loro carica, che le attrae, accelerandole. Man mano che avanza il fascio incontra elettrodi sempre più lunghi, che lo mantengono “in fase” con l’alternanza del campo elettrico. Infatti a ogni accelerazione le particelle aumentano la propria velocità e percorrono più spazio durante il tempo fisso di inversione della tensione. Per acceleratori di energie molto elevate, questi elettrodi sono sostituiti da cavità risonanti, cilindri in cui si formano onde elettromagnetiche che “spingono” le particelle, accelerandole.

Fig.1 Schema del funzionamento di un acceleratore lineare. Nella parte in basso, le particelle cariche negativamente (raffigurate in blu) sono estratte da una sorgente (ion source) e accelerate verso un elettrodo a tensione positiva. Uscendo dall'elettrodo (figura in alto) una sorgente che tipicamente opera a radiofrequenze (RF source) inverte la tensione degli elettrodi, facendo sì che le particelle siano nuovamente accelerate in avanti, e così via. Gli elettrodi sono di lunghezza crescente perché ad ogni accelerazione le particelle percorrono una distanza maggiore durante il tempo che la sorgente di radiofrequenze impiega a cambiare la tensione,. (Crediti: Wikimedia Commons)

Una condizione essenziale in qualsiasi tipo di acceleratore è la creazione del vuoto: se il fascio nel suo viaggio incontra altre particelle può disperdersi o perdere energia collidendo con esse. Inoltre deve essere “focalizzato”, cioè molto compatto. Questo perché deve generare più collisioni possibili su un’area di bersaglio molto piccola. Per focalizzarlo si usano degli elettromagneti, cioè magneti che producono un campo magnetico variabile tramite il passaggio di una corrente elettrica, inseriti lungo l’acceleratore. Altri magneti possono essere impiegati invece per direzionare il fascio, ad esempio per dirigerlo contro bersagli posizionati in posti diversi.

Gli accelleratori circolari

Gli acceleratori elettrodinamici si distinguono ulteriormente in due tipi, in base al tipo di percorso delle particelle accelerate. Negli acceleratori lineari le particelle percorrono il tubo a vuoto una sola volta e il percorso è, appunto, lineare. Negli acceleratori circolari il fascio può percorrere più volte l’orbita, che è ottenuta con potenti elettromagneti posizionati a intervalli regolari lungo una circonferenza. A ogni passaggio il fascio viene accelerato, ma per far ciò gli elettromagneti devono ogni volta aumentare la potenza del campo magnetico, in sincrono con l’aumento di energia cinetica delle particelle. Perciò gli acceleratori circolari odierni prendono il nome di sincrotroni. Quando le particelle hanno raggiunto l’accelerazione, quindi l’energia, voluta si fanno collidere: con un altro fascio che viaggia nella direzione opposta oppure con un bersaglio che viene inserito lungo il percorso. Le tracce e/o le energie delle particelle e delle radiazioni prodotte dalle collisioni tra fascio e bersaglio si misurano con un rivelatore. Sia gli acceleratori lineari che quelli circolari possono avere dimensioni molto variabili.

I primi acceleratori circolari, chiamati ciclotroni e diversi da quelli descritti qui, avevano un raggio di decine di centimetri. I sincrotroni invece possono avere dimensioni imponenti: il più grande del mondo ha un raggio di più di 4 Km. È il Large Hadron Collider (LHC) e si trova al CERN di Ginevra. Allo stesso modo un acceleratore lineare può avere dimensioni di pochi centimetri, come quelle di un tubo a raggi catodici (il “cuore” dei televisori commercializzati fino agli anni duemila; Fig.2) o raggiungere alcuni chilometri di lunghezza, come nel caso dello Stanford Linear Accelerator Center (SLAC) negli Stati Uniti, che è lungo più di 3 Km. Generalmente a maggiori lunghezze dell’acceleratore corrispondono maggiori energie raggiungibili. Queste energie si misurano in elettronvolt (eV), un’unità di misura che rappresenta l’energia guadagnata da una particella. In particolare 1 eV corrisponde all’energia guadagnata da un elettrone che si muove nel vuoto tra due punti a cui è applicata una differenza di potenziale elettrostatico di 1 Volt. Il record di energia finora raggiunto appartiene al Large Hadron Collider, che ha fatto collidere due fasci di protoni all’energia di 13 TeV (teraelettronvolt), ossia 13 mila miliardi di elettronvolt.

Fig.2 Schema di un tubo catodico, come quelli usati per proiettare le immagini nei televisori prodotti fino agli inizi degli anni duemila. Degli elettroni vengono accelerati da un campo elettrostatico (a sinistra) e poi deflessi da un campo elettrico creato dalle due placche metalliche (positively e negatively charged metal plate) verso uno schermo rivestito di materiale fluorescente, che emette luce quando colpito dagli elettroni. (Crediti: Wikimedia Commons)

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